[Circa un mese fa su La Balena Bianca è uscita una mia lunga recensione sul XIV Quaderno di poesia italiana. Ho deciso di pubblicarne qui alcune parti relative ai singoli autori. Dopo Pietro Cardelli e Andrea Donaera , Carmen Gallo e Raimondo Iemma e Paolo Steffan, tocca a Maddalena Lotter, di cui già scrissi, o meglio con cui già dialogai, qui. Buona (ri)lettura!]
In Steffan la natura è presenza costante e offre spesso spunti per l’immaginario metaforico del poeta, come prova il passo appena citato o anche altrove la metafora genitiva “zolle di bene” (p. 303). Nella corregionale Maddalena Lotter la natura non è meno presente, campeggiando sin dal titolo (Questioni naturali), e tuttavia assume caratteri assai meno circostanziati, più apertamente metafisico-esistenziali oserei dire. Se in Steffan la nomenclatura botanica è precisa (pioppi, cornioli, salici, eccetera), in Lotter abbiamo invece sfuggenti figure del fondo, minacciose e ctonie, come “alghe” e “grandi cetacei”, malattie con “la coda” come mostri marini, o terribili e imponenti come “il vulcano [che] allaga il mondo”, “forze paurose” o una “realtà migliore | che resta sommersa”, “avvisi della terra” che “rimbalzano sottili da un albero all’altro” (p. 243); o al contrario elementi aerei, dalla spinta ascensionale, dai “piani alti del pensiero” a questa bellissima chiusa dal sapore aneddiano: «il resto che si spalanca sopra la casa | sopra le nostre vite è un caro vento perfetto» (p. 237). La poetica dei margini propugnata nel testo d’apertura («una buona vita è accarezzare i margini fino alla fine», p. 233) si concretizza, nel testo successivo, nelle varie soglie o limini come la finestra da aprire del testo a p. 234, con l’aria che “si infilava carica di forza” (torna alla mente, nella nostra tradizione, l’immagine del vento che entra nella stanza a ridestare l’io: «godi se il vento ch’entra nel pomario | vi rimena l’ondata della vita», Montale; «quasi folata di vento in una stanza chiusa», Sbarbaro; «che s’alzi un qualche vento | di novità a muovermi la penna», Sereni). Natura come forza, ma anche consolazione, accettazione stoica della finitezza e dell’impermanenza umane: «a metà serata io però mi dileguavo | qualche minuto appena | di fronte al mare, il suo eterno suono d’argento | mi rassicurava di fronte all’evento | spaesante delle persone che crescono | fino a svanire» (Stelle di San Lorenzo, p. 251). Lo stile rimane perlopiù quello classico e nitido di Verticale, anche se non mancano occasionali slogamenti sintattici (p. 240) e soprattutto salutari incursioni di “finte prose”, come le chiama il prefatore Villalta. Sono testi, questi, che seguono lo schema del consiglio o del regolamento (“ognuno dovrebbe”, “dovrebbero”, “prendi”, “quando sei stanco dormi”) e che mostrano l’autrice da un’angolatura inedita. Non mancano accenti d’ironia, pur più occasionali che sistemici, come nel sintagma “laghetto dell’io” della poesia Esempio da evitare (p. 248), ironica fin dal titolo antifrastico, da confrontare con la serissima “pozza degli affetti” di un’altra poesia (Come una ripetizione, p. 235). La vocazione esistenziale e filosofica della poesia di Lotter si esplica in non poche frasi sentenziose e dal sapore inappellabile («la nostra presenza sulla terra | è per ascoltare questi segni» o «tutto da sempre si dissolve»), il cui rischio è di chiudere le vie al lettore, di imporre un messaggio diegeticamente anziché suggerirlo mimeticamente.
Un pensiero riguardo “Maddalena Lotter – Questioni naturali (Marcos y Marcos 2019)”