(Propongo oggi un inedito assoluto – una scheda stilistica scritta circa un anno e mezzo fa e che, secondo le mie intenzioni, avrebbe dovuto dare il via a un grande progetto, sforzo collettivo, di mappatura stilistica sistematica della poesia italiana. Del grande progetto rimane, per ora, questo frammento, nella consapevolezza che un tale compito dovrebbe coinvolgere una squadra di specialisti e ottenere dei fondi – cose che al momento vanno ben al di là delle mie energie e priorità…)
Tono | · Riflessivo pacato, narrativo, a tratti confessionale | |
Progressione | · Accadimento + riflessione (più comune)
· Riflessione + esemplificazione · Allegoria minore/epifania (raramente) |
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Ideazionale | Campi semantici e temi
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· Parti della casa
· Sparizione/transitorietà · Tempo che passa |
Altri aspetti esperienziali
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· Toponimi
· Incipit in medias res · Verbi di cognizione |
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Interpersonale | · Deittici prossimali
· Noi plurale/Noi duale · Tu generico/autoriferito · Sentenziosità (spesso nella forma A è B) |
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Testuale | · Dislocazioni a sinistra
· Serie nominale: elenco · Serie nominale: apposizione · Parallelismi sintattici |
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Verso e ritmo | · Verso libero con tendenza al canonico (11±4 sillabe)
· Enjambment dolci (sintagmi lasciati interi, pause lontane dal fine verso) |
IDEAZIONALE
Campi semantici
- Parti della casa: fornelli, lucchetto (p. 7), i capelli sul cuscino, lo spigolo dei libri, il profumo di caffè, (p. 21); vetri dell’abbaino (p. 23); condominio dirimpetto (p. 40); dall’angolo della finestra (p. 45); dal cortile del palazzo, semplice credenza (p. 55); nelle stanze della casa (p. 58); il pomello di legno alla base del letto (p. 61); tra parete e parete (p. 63); dalla sponda del letto (p. 65); le scale del condominio (p. 75); scheggia di intonaco (p. 86)
L’ambientazione delle poesie è urbana, e si concentra prevalentemente su interni (meronimie della casa); lo sguardo è abbastanza ravvicinato, ma non c’è una ossessione descrittiva nei particolari – facendo un parallelo con il cinema, potremmo parlare di campo medio piuttosto che di una figura intera dove il soggetto siano le parti della casa. Queste non divengono tuttavia preponderanti, restano lontane da quello che è stato chiamato realismo terminale. In sostanza, sono qualcosa più di un ambiente, ma qualcosa meno che partecipanti diretti. Sono presenze, a volte latamente simboliche, più spesso realistiche.
- Fuga/sparizione/transitorietà: i muri che salpano (p. 7); evaporate in un secondo, sparite in altre forme (p. 12); passano gli uomini(p. 16); e di tutta un’esistenza resterà questo tre (p. 23); i cadaveri dei granchi / per metà sono già vento (p. 25); è cavalcata da un fantasma (p. 49); svoltavano un angolo, e non c’erano mai stati (p. 73)
- Tematizzazione del tempo che passa (percepisci il tempo scorrere, (p. 7); il tempo/ sono occhi e mani che si stringono (p. 11); gli anni che scorrono (p. 16); i gesti/fanno in tempo a disegnarsi (p. 20); non impiegheranno/ troppo tempo per capire(p. 22); verso un tempo / che non vedranno mai (p. 26); io sono la loro unica / speranza, mi chiedo, di durare (p. 70); leggono il passato come gli anni / nel legno (p. 89); scocchi il rintocco del quadrante (p. 91)
I temi della sparizione e del tempo che passa vanno discussi insieme perché vicendevolmente implicati. C’è accettazione nel tono constatativo, forse un accenno di rammarico o malinconia. Benché il tema della transitorietà sia centrale, esso non si presta al sentimento di dissoluzione neobarocca quale si rinviene in Rimi di Gabriele Frasca (2013) e, per rimando, nel barocco classico (il siglo de oro di Quevedo e Góngora). La transitorietà tocca figure umane, animali e vegetali, ma anche oggetti fabbricati dall’uomo. A tal proposito c’è una forte consonanza con un passo di Andrea Inglese (La distrazione, 2008), quando scrive dei nostri gusci di cemento/ appena più longevi di noi.
Altri aspetti esperienziali
- Verbi di cognizione: mi accorgo, (p. 12); capire, insegnarci, (p. 14); non è mai finita, penso, (p. 15); mi stupivo del loro ingegno, (p. 26); si chiede se la pioggia, (p. 36); so che quella(p. 38); penso a quanto sia finito l’infinito (p. 42); ignoro (p. 43); imparo a numerare (p. 49); decifrato, capito (p. 56); ho rallentato per capire (p. 69); ho sempre immaginato (p. 75); vede quel raggio e capisce (p. 77)
- Incipit in medias res (con congiunzione etc.): Poi ci fu una scossa repentina (p. 7); Perché nel sottinteso della nota (p. 11); Ecco, guarda bene, p. 23.
- Toponimi: Civitanova, p. 14, Santa Maria in Trastevere, p. 18, Grottammare, p. 28.
L’io poetico in L’attimo dopo è qualcuno che riflette e cerca di comprendere, come gli estratti sopra citati testimoniano. La metafora della poesia come decifrazione o ricognizione della realtà si invera nei verbi di cognizione, che appaiono più salienti dei verba dicendi, dei verbi d’azione o a coloritura più psicologica. Gli incipit in medias res vanno forse ricondotti più a una temperie novecentesca (vedi le annotazioni di Testa, 1999) piuttosto che all’idioletto autoriale, e lo stesso può valere per i toponimi, la cui presenza è quantitativamente discreta ma qualitativamente rilevante, siccome i toponimi prestano il titolo ad alcune poesie.
INTERPERSONALE
- Deittici prossimali: queste sedie, queste mura (p. 7); quest’angolo di porto occidentale (p. 15); questa terra è pesante di memoria (p. 16); questo tre, questo calice di dita (p. 23); qualcuno qui ha incrociato parole (p. 24); le pietre di questo muraglione , questo scarno lungomare, questo domino di luci (p. 28); queste dita che battono caute (p. 38); da qui alla superficie (p. 43); tutta qui la cornice di una cronaca (p. 44); questa notte che azzera la febbre (p. 63); adesso siamo questa scenografia provvisoria (p. 90)
- Noi plurale: ci dicevano sorridendo (p. 7); farci amare queste sedie (p. 7); non credere in noi sarebbe il crimine maggiore (p. 15); comprendiamo sempre meno della luce (p. 60)
- Noi duale: siamo ancora quelli che camminano a fianco (p. 14); abbiamo poche cose da nasconderci (p. 38); parlavamo, incuranti dei fumi nucleari (p. 40); adesso siamo questa scenografia provvisoria (p. 90)
- Tu generico/autoriferito: quando percepisci il tempo scorrere, o ricordi qualcunose sei sveglio nel letto, p. 20); se scavi e riscavi non trovi che altro inferno (p. 44); ti cova come un granello di polvere (p. 61); attraversi il buio temporaneo di un’aiuola (p. 62); se la guardi in filigrana (p. 64); come te, sta cercando un abbraccio (p. 65)
- Sentenziosità : il tempo sono occhi e mani che si stringono, p. 11; c’è saggezza in questa durata della terra, p. 16; passare è il loro unico motivo per essere nel mondo, p. 16); gli uomini onesti non dicono io vado (p. 35); si abita così, credendosi per sempre (p. 36); la materialità dell’esistenza è cosa certa (p. 42); l’orrore è il solo prezzo quotidiano da pagare; il bene è annidato in isole invisibili (p. 44)
I deittici sono capitali nella poesia novecentesca (uso il termine non in senso stretto cronologico, tanto più che L’attimo dopo è del 2009), come sostengono diversi studiosi (Testa 1999, Adamson 1999). In questa opera sono talmente salienti che non si può parlare di semplice influenza, ma di precisa scelta. La frequenza dei deittici si lega ovviamente al tema della presenza testimoniale, e anche alla vicinanza affettiva tra autore e oggetti o luoghi nominati. Nessun effetto di straniamento, insomma. L’uso del noi plurale è discreto, ma saliente perché in apertura libro. Il poeta non si fa quasi mai portavoce collettivo, dato che anche il noi plurale sembra riferirsi a un gruppo o comunità ben delimitata piuttosto che all’intera umanità. Anche il noi duale ha presenza discreta, alla ricerca di un equilibrio tra i pronomi personali. Più marcato mi sembra il tu autoriferito (il “Tu-istituto” di montaliana memoria e il “tu falso-vero dei poeti” di cui parla Sereni) che sfuma talvolta, come è inevitabile, nel tu generico (o viceversa). Non sembra, insomma, un tu allocutivo ma autoriflesso o mancante di un destinatario preciso. Infine, il lirismo della raccolta passa per una postura sentenziosa anch’essa dosata cautamente, forse appena troppo calcata (per un effetto un po’ scontato) nella prima delle affermazioni a p. 44 qui riportate.
TESTUALE
- Serie nominale: elenco: i lampi della piattaforma, il profilo delle colline, la camera a tre muri attraversata dai rintocchi, la città sconfinata (p. 7); la calma, l’amore, gli attraversamenti di chilometri nel buio (p. 30)
- Serie nominale: apposizione: a cui bisogna obbedire, dire ancora sì (p. 7); un enorme rumore di battiti, una schiera di persone (p. 7) un saluto, il duplice flusso del sangue nel corpo (p. 11); la mia vita e la tua, un disegno luminoso sul bianco (p. 38); aguzzare per molto la tua vista, raddoppiarti la misura del passaggio, salvarti (p. 39); le infinite caselle di cemento e di vetro, le case da cui si esce di soppiatto (p. 62)
- Serie nominale: apposizione duale disgiuntiva un vento di mare, / perdono o condanna(p. 7); una macchina per cucire in miniatura, ciarpame o giocattolo (p. 12)
- Parallelismo sintattico: hanno spento i fornelli, inchiavato un lucchetto, pigiato i nove numeri (p. 11); aspettare qualche mese, scrutare negli angoli (p. 21); rimettere le dita parallele, fare figli, poggiare la schiena (p. 23); i muratori, che hanno spinto nelle sedi i cubetti di porfido, gli anziani che hanno messo a dimora i getti dei cespugli (p. 28); se una strada li porta, se una curva spalanca (p. 35); gli eventi ritornano, le parole si ripetono (p. 59); attraversata la rotonda, assicurate le persiane (p. 62)
- Dislocazione a sinistra: risolverlo il dilemma (p. 15); io te lo dono a piene mani, quel bianco (p. 38-39); dicono che lavi, la pioggia di dicembre (p. 74)
Probabilmente il cardine stilistico dell’intero libro è quello della serie nominale, talora appositiva e talaltra elencatoria. Anche qui, l’effetto è sfumato piuttosto che netto o sincopato, dato che i sintagmi sono separati da virgole anziché da spazi bianchi o (all’opposto) da punti e virgole, e raramente Gezzi ne fa seguire più di tre o quattro. Nell’apposizione c’è una volontà di ridefinizione, di chiarificazione, che si lega all’idea del comprendere e del percepire; nell’elenco c’è l’attitudine a ricomporre frammenti, a raccogliere indizi, come avviene anche in Pusterla. Strettamente legato (e dal simile effetto) è il parallelismo sintattico, che non si spinge mai oltre i tre, quattro enunciati.Il virtuosismo è insomma continuamente scansato, tutto si gioca sullo scarto minimo. La preponderanza nominale rallenta la lettura e contribuisce all’impressione di staticità riflessiva, o di minimo guizzo, già accennata in precedenza. La dislocazione a sinistra aggiunge un tono colloquiale, ma anch’essa è usata con estrema parsimonia.
Tratti stilistici minori (non frequenti)
- Discorso diretto libero (non virgolettato): non c’è più lavoro, ci dicevano (p. 7)
- Agenti fabbricati: il tavolo si scambiava con l’armadio, il divanetto tentava di scalare la parete dello specchio (p. 61)
- Modalità deontica:a cui bisogna obbedire (p. 7)
- Registro colloquiale: un giorno, per esempio, (p. 12); da chissà che (p. 12)
- Registro letterario: slavati dalle bave, (p. 12); rovistati dal grecale (p. 15)
- Aggettivazione lirico/evocativa: la città sconfinata, (p. 7)
- Allocuzione: Ecco, guarda bene, (p. 23)
Gli ultimi tratti stilistici individuati non costituiscono un tutto commentabile – mi limito a notare che il registro colloquiale e quello letterario sono tutto sommato minoritari, giacché prevale un tono medio che si potrebbe definire conversazionale piuttosto che colloquiale. Interessante anche notare che le voci degli altri sono quasi del tutto assenti – non ci sono gli stralci dialogici così comuni, invece, nella poesia degli anni ’60. Monodia piuttosto che polifonia, medietà selezionata piuttosto che ardimenti espressionistici o iper-letterari. In sintonia con l’ideale dello stile semplice, viene privilegiato l’aspetto ideazionale (esperienziale) del linguaggio, mentre del tutto assente pare la componente ludica di gemmazione fonica (paronomasia, paraetimologie, ecc.), senz’altro ascrivibile a un’area postmodernista ossessionata dal quello che una volta i linguisti chiamavano il significante. Infine, e in linea con dettami modernisti, l’aggettivazione è spesso denotativa e la metafora è volentieri aggirata o ridotta al minimo.